PORTO VECCHIO E BIENNALE DIFFUSA A TRIESTE























Ho visitato nei giorni scorsi la Biennale Diffusa di Arte a Trieste, ospitata nel Magazzino 26 del Porto Vecchio, mi ha lasciato a bocca aperta non la mostra ovvero anche la mostra per motivi che spiegherò più avanti, ma il Porto Vecchio, una città unica, decadente, un luogo sospeso ma pieno di energia, di fascino.
























Passeggiare in questi enormi viali, con i vecchi binari del treno abbandonati e pieni di erbacce, i magazzini, costruiti con la pietra bianca del carso, deserti con l’edera che li abita, ma di innegabile bellezza, altri magazzini più piccoli locande, uffici con i tetti ricoperti di erba, edifici di mattoni dai tenui colori rosso-rosa con balaustre di ferro arrugginito ingentilite da eleganti ornamenti e capitelli, con le colonne e le scale di ghisa, dalle numerose finestre con vetri rotti, le vecchie porte di legno che all’interno custodiscono ancora tracce e odori di quello che accoglievano e le pensiline.














































Tra i vari edifici, in fondo si scorge il mare con i suoi moli.

E’ stato un percorso silenzioso, mistico e contemplativo
Si ha la sensazione che il tempo è rimasto immobile ma anche di sentire brusio di voci di diverse lingue, di vedere i portuali al lavoro, di vedere gli animali che attendevano l’imbarco, lo scarico-carico delle merci, i velieri attraccati ai moli, profumi di spezie.
Una città abbandonata ma ancora viva.


La storia del Porto Vecchio ha inizio nel 1719 quando l’imperatore Carlo VI d’Asburgo dichiarò la città di Trieste porto franco, e quindi decise di fare della città il principale sbocco al mare dell’Impero Asburgico.

A Trieste venne così istituito un deposito franco ed anche grazie a quest'ultimo si insediarono nella città 
















numerosi mercanti stranieri (tedeschi, boemi, greci, slavi, svizzeri, ebrei).

Nella seconda metà del XX secolo l'importanza del porto triestino continuò ad aumentare grazie all'arrivo del collegamento ferroviario con Vienna .
La costruzione di nuovi complessi ,attualmente indicati come Porto vecchio, ebbe inizio nel 1868 per opera dell’ingegnere francese Paulin Talabot e terminò nel 1893.
La superficie è di circa 700 mila metri quadrati, delimitati da un muro di cinta e con varchi doganali, con vari edifici disposti in modo regolare su tre assi paralleli alla linea di costa e realizzati in un periodo di tempo che va dagli ultimi due decenni dell’Ottocento ai primi anni del Novecento.
L’architettura di queste facciate è tipicamente austro-ungarica.
Gli edifici avevano la funzione di magazzini utilizzati come deposito di merci, ma alcuni anche di locanda.


















Per la costruzione si iniziò a sperimentare tecniche nuove come il cemento armato.

L’impiego della ghisa nelle strutture esterne, quali colonne con capitelli, scale, balaustre degli edifici dà agli stessi un aspetto solenne e seducente. In quell’epoca l’uso di questo materiale era sconsigliato, in quanto vicino al mare e quindi facilmente deteriorabile, ciò nonostante sono ancora in buono stato di conservazione.
















In una zona decentrata del Porto Vecchio sorge una centrale idrodinamica, edificio con un’alta ciminiera in laterizio e da due torri quadrate che affiancano la facciata principale, in funzione fino al 1988, gioiello di archeologia industriale.

C’è ancora la vecchia gru idraulica consumata dal tempo ma affascinante.









Nel 1926 inizia il declino perché si chiudono i rapporti con i porti del Nord-Europa.
Nel 1929 causa la crisi mondiale la situazione si aggrava, solo nel dopoguerra riprendono gli scambi commerciali e quindi si progetta un nuovo Porto in grado di gestire i nuovi traffici con i container.
Il Porto Vecchio viene così abbandonato e il territorio è ancora off-limits perché la zona è a regime porto franco.
Nei magazzini 24 e 25 sono stati ospitati fino al 2007 gli animali, mucche, capre, maiali, pecore in attesa dell’imbarco.
Nel magazzino 18 c’è tuttora un deposito di masserizie degli esuli istriani costretti ad abbandonare la loro terra.
Solo nel 2011 è stato finalmente riaperto, anche se parzialmente, il Porto Vecchio, in occasione della Biennale.
















Il Magazzino 26, è il primo edificio restaurato nel Porto Vecchio, e ospita dal 4 luglio al 27 novembre 2011 il Padiglione Friuli Venezia Giulia della 54. Esposizione Internazionale d’Arte - Biennale di Venezia, curata da Vittorio Sgarbi, in occasione del 150° dell’unità d’Italia. Artisti del Friuli-Venezia Giulia ma anche una sezione internazionale curata dall’Ice. Quasi duecento opere di pittori, scultori, ceramisti, fotografi, designer, videoartisti e grafici. Si incontrano e si confrontano con la loro opera, in una Regione da sempre feconda di contaminazioni culturali e artistiche di atmosfera centro-europeo che si conferma crocevia di idee e progetti.

Suggestivo l'approccio esterno con la scultura in rete d’acciaio e ferro di Nane Zavagno e le enormi trombe di legno di Romano Abate .



























Il percorso espositivo inizia al primo piano con la sezione InCe, promossa dall’Iniziativa Centro Europea e curata dal Comitato Trieste contemporanea, con opere di una quarantina di artisti residenti nei paesi InCE, di origine italiana o con forti legami con l’Italia.





















Al secondo piano sono esposte opere dei fotografi di Italo Zanier indicati come migliori rappresentanti della disciplina dal prof. Zannier.: Elio Ciol, Ulderica Da Pozzo, Mario Sillani Djerrahian, Pierpaolo Mittica, Mauro Paviotti, Donato Riccesi.Molto intense e suggestive le foto di P.P. Mittica, artista di Spilimbergo, fotografo umanista conosciuto a livello internazionale.










































Al terzo piano sono esposte le opere di artisti giovani e sconosciuti accostati a “famosi” regionali quali Giuseppe Zigaina, presente già negli spazi di introduzione del percorso espositivo con opere omaggio a Pier Paolo Pasolini che fu fra i suoi più cari amici. È un Pasolini inedito ritratto sul set e riproposto su tre manifesti diversi, Giorgio Celiberti, Nane Zavagno, Manuela Sedmach, Gillo Dorfles, e molti altri. Nel percorso espositivo viene proposta anche una selezione di artisti provenienti dalle Accademie e Istituti d’Arte della Regione.

































Il percorso si sviluppa lungo tutti i piani dell’edificio, gli interni sono meravigliosi, ma il terzo piano è particolarmente affascinante, simile all’arsenale di Venezia e si presta ad ospitare le opere più varie.Una location che riassume arte contemporanea, archeologia industriale e atmosfera austro-ungarica.Oltre all’osservazione delle opere, è impossibile e lo sguardo và da sé, non guardare attraverso le finestre e notare un’opera più bella di tutte, la visione dell’Adriatico con la luce del tramonto che ti apre il cuore.




A mio parere non tutte le opere esposte erano degne di avere questo palcoscenico.Per fortuna, il fascino del “ vecchio” Magazzino 26 ha aiutato tutta l’esposizione, e malgrado tutto, non sono stati intaccati i bei lavori di quei pochi grandi artisti presenti.

Le opere che mi sono piaciute Celiberti, Zavagno, Sedmach, Zigaina, Dorfles, Vecchiet, Martinelli, Palli, le fotografie di Mittica. Mi chiedo come mai non sono stati invitati altri artisti di rilevanza fondamentale della nostra Regione, che avrebbero sicuramente meritato più di altri, e su che principio sono state fatte le selezioni ?












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